Tiroidite di Hashimoto: cos’è, cause, cosa provoca e come affrontarla con dieta e rimedi utili

La tiroidite di Hashimoto è una patologia autoimmune che sfocia in ipotiroidismo conclamato. Il monitoraggio dei parametri ematici, l’intervento sulle carenze nutrizionali e sugli altri fattori di rischio costituiscono azioni essenziali per gestire la malattia.

Configurandosi come una patologia autoimmune particolarmente comune, la tiroidite di Hashimoto è anche una rilevante causa di ipotiroidismo nelle aree geografiche iodio-sufficienti. Come tutte le malattie a base autoimmune, la tiroidite di Hashimoto è un processo patologico irreversibile, il cui decorso necessita di un monitoraggio costante.

Donna con problemi alla tiroide

Nei paragrafi che seguono verranno descritti i diversi aspetti caratterizzanti la patologia, a partire dai parametri diagnostici e dai sintomi che fungono da campanelli di allarme. Prendendo in esame le cause scatenanti della tiroidite di Hashimoto, verranno successivamente forniti degli spunti pratici di tipo nutrizionale e fitoterapico, efficacemente utilizzati per affrontare il problema. In ultimo, seguiranno delle considerazioni in merito al mancato trattamento della patologia, evidenziandone i rischi relativi e le conseguenze a lungo termine per la salute.

Cos’è la tiroidite di Hashimoto

La tiroidite di Hashimoto (anche detta tiroidite cronica autoimmune o morbo di Hashimoto) è una patologia infiammatoria a carattere autoimmune, dove quest’ultimo termine è indicativo di una risposta anomala del sistema immunitario, le cui componenti agiscono contro i tessuti dell’organismo di appartenenza.

Nella fattispecie, il morbo di Hashimoto riguarda la tiroide, un’importante ghiandola endocrina situata nella zona anteriore del collo ed implicata in diversi aspetti fisiologici. In particolare, la tiroidite di Hashimoto è caratterizzata dalla peculiare e cronica infiltrazione di linfociti che, in corrispondenza dei tessuti implicati, si “attivano” diventando così responsabili dell’infiammazione a carico della ghiandola tiroidea. La compromissione della quasi totalità del tessuto ghiandolare condurrà alla mancata produzione degli ormoni tiroidei e, in ultimo, ad una condizione di ipotiroidismo conclamato. [1]

Il medico giapponese Hakaru Hashimoto fu il primo a descrivere la patologia nel 1912, sebbene la connotazione di tiroidite autoimmune le fosse stata attribuita soltanto negli anni ‘50, in seguito ad esperimenti condotti in vivo dai successivi addetti ai lavori.

Per quanto concerne la diagnosi della tiroidite di hashimoto, essa è strettamente correlata ad alcuni valori anticorpali riscontrabili negli esami del sangue. Più nello specifico, gli anticorpi anti-perossidasi tiroidea circolanti (Ab anti-TPO) costituiscono il marcatore ematico di spicco per condurre la diagnosi, essendo riscontrabili nel 95% degli individui affetti da tiroidite di Hashimoto e rendendosi decisamente rari negli individui sani. In questi ultimi, il titolo anticorpale relativo agli anticorpi anti-TPO può arrivare fino a 35IU/mL.

Meno specifici poiché riscontrabili anche in una percentuale variabile di individui sani, tuttavia ugualmente utili, gli anticorpi anti-tireoglobulina (Ab anti-TG) costituiscono il secondo marcatore da considerare, essendo presenti nel 60-80% degli individui affetti da tiroidite di Hashimoto. Negli individui sani, il titolo anticorpale inerente agli anticorpi anti-TG può arrivare fino a 115IU/mL.

Alcune evidenze scientifiche suggeriscono che le due tipologie di anticorpi siano suggestivi di due differenti aspetti della risposta immunitaria, dove gli anticorpi anti-tireoglobulina sembrerebbero rappresentare una risposta immunitaria precoce, mentre gli anticorpi anti-perossidasi tiroidea sarebbero correlati ad una risposta immunitaria più tardiva. [2]

Ai fini della diagnosi della tiroidite di Hashimoto, le indagini ematiche possono essere associate ad esami ecografici.

Relativamente gli altri parametri tiroidei, quali l’ormone tireotropo TSH e la tiroxina libera fT4, essi possono variare a seconda dello stadio patologico. In particolare:

  • Valori di TSH nella norma (0,25 – 4 mIU/L) sono indicativi di eutiroidismo, ovvero di una funzionalità tiroidea non ancora alterata;
  • Valori di TSH elevati (> 5mIU/L) in associazione a valori di fT4 nella norma (0,65 – 1,85 ng/dL) sono indicativi di ipotiroidismo subclinico;
  • Valori di TSH elevati (>5mIU/L) in associazione a valori di fT4 inferiori alla norma (<0,60ng/dL) sono indicativi di ipotiroidismo conclamato, riflettendo un tessuto ghiandolare altamente danneggiato dall’azione linfocitaria.

In base a quanto esposto, appare evidente quanto i valori anticorpali siano, tra l’altro, essenziali nel rilevare le fasi asintomatiche della patologia.

I sintomi della tiroidite di Hashimoto

I sintomi della tiroidite di Hashimoto possono manifestarsi o meno, a seconda della fase patologica. La fase iniziale di eutiroidismo è caratterizzata dall’assenza di sintomi clinici o dall’ingrossamento della tiroide. In questa fase, la funzionalità tiroidea appare integra.

La condizione intermedia di ipotiroidismo subclinico può essere associata a mancanza di sintomi oppure alla comparsa di sintomi molto lievi e aspecifici.

Come facilmente intuibile, i sintomi più marcati sono correlati principalmente alla condizione di ipotiroidismo conclamato, manifestandosi in una pluralità di problematiche che riflettono, nel complesso, l’importanza funzionale della tiroide.

Comunemente, la tiroidite di Hashimoto provoca un incremento ponderale (aumento di peso), astenia generalizzata e una maggiore sensibilità al freddo. In maniera forse meno percettibile nell’immediato, la tiroidite di Hashimoto può accompagnarsi a bradicardia (battito cardiaco lento e irregolare) e raucedine. Alquanto frequente è, inoltre, la fragilità nei capelli, così come la comparsa di secchezza cutanea.

Rendendosi evidenti in sede di analisi del sangue, alterazioni del quadro lipidico possono anch’essi correlarsi a questa patologia. In particolare, i livelli di colesterolo possono subire un incremento. Anche le alterazioni a carico del ciclo mestruale e la costipazione rientrano tra i sintomi più comuni relativi alla tiroidite di Hashimoto.

In relazione ai segnali e ai sintomi più rari, la tiroidite di Hashimoto può correlarsi a condizioni di ansia e depressione, oltre che a problematiche ulteriormente invalidanti a carico del sistema nervoso, quali i disturbi della memoria e la difficoltà nella concentrazione. [2, 3]

In generale, la comparsa di sintomi della tiroidite di Hashimoto, così come il decorso della patologia, si configurano come condizioni soggettive. In altri termini, la durata delle fasi patologiche, così come i tempi e le modalità di comparsa dei sintomi possono variare da persona a persona.

I sintomi della tiroidite di Hashimoto in breve:

  • Ingrossamento della tiroide;
  • Aumento ponderale;
  • Astenia;
  • Sensibilità al freddo;
  • Bradicardia;
  • Raucedine;
  • Capelli fragili e pelle secca;
  • Dislipidemia, aumento nei livelli di colesterolo;
  • Alterazioni del ciclo mestruale;
  • Costipazione;
  • Ansia e depressione;
  • Disturbi della memoria e difficoltà di concentrazione.

Le cause della tiroidite di Hashimoto

Sebbene l’eziologia alla base della tiroidite di Hashimoto non sia ad oggi del tutto chiara, è opinione comune che la patologia scaturisca dal sovrapporsi di fattori genetici, che si rendono responsabili di predisposizione ed ereditarietà, e fattori ambientali.

Per quanto riguarda la predisposizione, le diverse varianti genetiche, siano esse implicate nella regolazione della risposta immunitaria o nella funzionalità tiroidea, sembrano essere legate all’insorgenza della patologia.

Negli individui geneticamente predisposti, alcuni fattori ambientali possono agire da promotori dei meccanismi patologici. Più nello specifico, un fattore scatenante è rappresentato da una eccessiva assunzione di iodio, che sembra determinare o peggiorare la risposta autoimmune che si verifica a carico della ghiandola tiroidea. È opportuno specificare che, siccome l’apporto di iodio deriva dall’alimentazione giornaliera, non esiste alcuna correlazione tra un’assidua prossimità al mare e tiroidite di Hashimoto.

Degne di nota nell’insorgenza della patologia sono alcune carenze nutrizionali, quali lo scarso apporto di selenio e di vitamina D. Un ulteriore fattore scatenante è rappresentato dall’infezione da parte del virus dell’epatite C, la cui presenza nell’organismo potrebbe rendersi responsabile di una sollecitazione autoimmunitaria.

L’assunzione di metalli pesanti e l’eccessiva esposizione alle radiazioni rappresentano fattori di rischio aggiuntivi. Infine, il tabagismo sembra essere un ulteriore elemento potenzialmente in grado di scatenare la patologia. [4] Segue un elenco schematico delle cause della tiroidite di Hashimoto:

  • Predisposizione genetica;
  • Eccesso di iodio;
  • Carenze nutrizionali (selenio, vitamina D);
  • Infezioni virali (virus dell’epatite C);
  • Assunzione di metalli pesanti;
  • Esposizione alle radiazioni;
  • Tabagismo.

Dieta e tiroidite di Hashimoto: consigli su cosa mangiare e cosa evitare

Sebbene non tutti ne siano a conoscenza, impostare giornalmente una specifica dieta per la tiroidite di Hashimoto costituisce uno strumento rilevante per la gestione del problema, oltre che un aspetto importante per la conservazione della salute tiroidea generale. In questo contesto, può essere utile fornire alcuni consigli pratici su cosa mangiare con la tiroidite di Hashimoto e cosa escludere, o ridurre, nell’ambito dell’alimentazione giornaliera.

Per quanto concerne gli alimenti da prediligere in caso di tiroidite di Hashimoto, sono degni di nota gli alimenti ricchi di vitamina D e selenio, due micronutrienti di grande rilevanza, il cui ruolo verrà descritto nel paragrafo successivo. Sono fonti di selenio i prodotti ittici e alcuni alimenti vegetali dal ricco valore nutritivo, ovvero la frutta secca a guscio e i semi oleosi. Gli alimenti che provengono dal mare sono, inoltre, fonti di vitamina D, così come lo sono i funghi e lo yogurt greco.

In relazione agli alimenti da evitare, un ruolo particolare viene attribuito al glutine, una componente proteica contenuta in diversi cereali di uso comune. Sulla base di alcune evidenze scientifiche, il glutine sembra impattare sulla salute tiroidea in diversi modi. Prima di tutto, il glutine rientra tra le cause scatenanti la leaky gut, ovvero una condizione di permeabilità intestinale aberrante che si pone alla base di uno stato di infiammazione cronica e dell’insorgenza di affezioni autoimmuni negli individui predisposti geneticamente.

In secondo luogo, il glutine sembra rendersi responsabile, per questioni di mimetismo molecolare, del potenziale attacco immunitario ai tessuti tiroidei [5]. Per quanto riguarda l’applicazione di un regime dietetico povero di glutine, esso potrebbe essere efficace in quanto correlato, complessivamente, alla riduzione dello stato infiammatorio. Inoltre, l’assenza di glutine sembra impattare positivamente sullo stato nutrizionale relativo al selenio e alla vitamina D. [6] Il glutine si trova nei seguenti cereali e nei loro derivati: frumento, farro, segale, orzo, ma anche nei meno noti bulgur, cous cous, kamut e triticale.

La riduzione del glutine rientra nell’ambito più ampio dell’alimentazione antinfiammatoria. A questo proposito, può essere utile ridurre il consumo di altri alimenti pro-infiammatori, quali uova e derivati del latte. In definitiva, accorgimenti di questo tipo ricoprono un ruolo importante nel decremento dell’infiammazione sistemica e nella modulazione della risposta immunitaria, risultando benefici in caso di tiroidite di Hashimoto.

Un ulteriore suggerimento mirato alla medesima finalità è quello di evitare cibi potenzialmente inquinati da metalli pesanti, quali mercurio, cadmio e piombo, per il loro impatto sulla stimolazione dell’autoimmunità. Complessivamente, gli alimenti ai quali è stato attribuito il contenuto potenziale di metalli pesanti sono i pesci di grossa taglia, i crostacei e molluschi. Lo stesso fattore di rischio viene attribuito ad alcuni prodotti vegetali, quali il riso. Al fine di non rinunciare alle proprietà benefiche degli alimenti suddetti, informarsi sulla loro provenienza può rappresentare un buon punto di partenza per ridurre l’assunzione involontaria di metalli pesanti e altri contaminanti ambientali.

Occorre, infine, porre particolare attenzione al consumo di alghe commestibili, il cui contenuto di iodio può essere nocivo nelle prime fasi della tiroidite di Hashimoto.

Tiroidite di Hashimoto: i rimedi

Qualora si volesse ricorrere a strumenti nutrizionali aggiuntivi, al fine di gestire la tiroidite di Hashimoto, è possibile reperire in commercio alcuni prodotti più o meno mirati. Prima di passare alla descrizione degli espedienti nutraceutici e fitoterapici, è importante sottolineare che è sempre opportuno sottoporre gli integratori eventualmente scelti al parere del proprio medico curante e/o dello specialista endocrinologo.

1 Selenio: un minerale cardine

La maggior parte del selenio presente nell’organismo umano risiede nella ghiandola tiroide, riflettendo la grande importanza rivestita dalle selenoproteine per la funzionalità tiroidea. Tra le selenoproteine implicate nella fisiologia tiroidea rientrano gli enzimi deiodinasi e glutatione perossidasi.

In maniera coerente con quanto appena esposto, la carenza di selenio è stata associata a diversi stati patologici a carico della tiroide, quali ipotiroidismo subclinico, ipotiroidismo conclamato e affezioni di tipo autoimmune. Tra queste ultime rientra, anche in questo caso specifico, la tiroidite di Hashimoto.

Diversi studi condotti in tal senso hanno correlato la supplementazione di selenio, in individui carenti del minerale e affetti da tiroidite di Hashimoto, con una riduzione del titolo anticorpale relativo agli anticorpi anti-TPO. Ulteriori indagini hanno evidenziato, relativamente all’assunzione integrativa di selenio, un abbassamento nei livelli di anticorpi anti-TG e un incremento dello stato di benessere generale.

Infine, la supplementazione di selenio sembra correlarsi positivamente con la diminuzione, negli individui affetti da tiroidite di Hashimoto, di citochine pro-infiammatorie e dei livelli di proteina C-reattiva, un noto marcatore dei processi infiammatori in atto. [7, 8]

Sebbene, in base a quanto appena argomentato, un’integrazione di selenio possa essere benefica in caso di tiroidite di Hashimoto, occorre sottolineare che, al contrario, un eccesso di selenio potrebbe indurre effetti negativi sulla salute generale. In definitiva, è buona norma attenersi all’apporto giornaliero di riferimento di 55μg, relativo all’individuo adulto.

2 Vitamina D: per la modulazione immunitaria

Oltre che una vitamina liposolubile, la vitamina D è attualmente considerata un vero e proprio ormone steroideo. Notoriamente implicata nell’omeostasi del calcio e del fosforo e, più generale, nella salute delle ossa, la vitamina D è un importante fattore immunomodulante e antinfiammatorio. Diverse evidenze scientifiche correlano la carenza di vitamina D con le affezioni autoimmuni a carico della tiroide. Più nello specifico, una supplementazione di vitamina D in individui affetti da tiroidite di Hashimoto sembra correlarsi alla diminuzione di anticorpi anti-TPO. [8]

3 Iris versicolor: un promettente rimedio per la salute tiroidea

Appartenente alla famiglia delle Iridacee e comunemente noto come gladiolo blu, Iris versicolor rientra tra le specie botaniche utilizzate per la realizzazione di prodotti fitoterapici. Relativamente alle patologie tiroidee, i derivati di questa pianta sembrano apportare un effetto benefico in caso di tiroidite di Hashimoto, in virtù dell’attività antinfiammatoria ad essi attribuita. In aggiunta, sebbene siano necessari studi clinici approfonditi, Iris versicolor sembra essere correlata positivamente al trattamento del gozzo tiroideo. [9]

4 Commiphora mukul o guggul: un possibile supporto dalla medicina Ayurvedica

Conosciuta in ambito tassonomico come Commiphora mukul, il guggul è una resina di origine indiana nota nell’ambito della medicina Ayurvedica. Il guggul contiene i guggulsteroni, delle particolari sostanze chimiche alle quali è stata attribuita un’attività stimolante sulla ghiandola tiroidea. Più nel dettaglio, i guggulsteroni sembrano stimolare la produzione dell’ormone tiroideo triiodotironina o T3, mediante la conversione a partire dalla tiroxina o T4. In aggiunta, queste sostanze sembrano migliorare i livelli di colesterolo negli individui affetti da tiroidite di Hashimoto supportando la funzione metabolica della tiroide. [9]

Tiroidite di Hashimoto: i rischi e le conseguenze per la salute

In quanto processo patologico dalla rilevante componente genetica, la tiroidite di Hashimoto non può in nessun modo risolversi autonomamente. Allo stesso modo, il danno tissutale che si verifica a carico della ghiandola tiroidea in seguito alla risposta autoimmune non può regredire.

La compromissione della ghiandola tiroidea e, di conseguenza, della sua funzionalità endocrina, può comunemente sfociare in ipotiroidismo conclamato, rendendo necessaria la terapia ormonale sostitutiva a base di levotiroxina. Il protrarsi e il peggioramento dei sintomi discussi in precedenza rappresentano le dirette conseguenze della tiroidite di Hashimoto non curata.

In aggiunta, sebbene siano necessarie ulteriori evidenze scientifiche per sottolineare, in modo conclusivo, la corrispondente relazione di causa ed effetto, sembra esserci un legame tra la tiroidite di Hashimoto e la comparsa del carcinoma tiroideo. Più nello specifico, alcuni studi suggeriscono l’esistenza di una correlazione tra lo stato infiammatorio cronico a carico del tessuto ghiandolare e la comparsa di processi cancerosi. [10]

Qualora i parametri anticorpali fossero suggestivi di tiroidite di Hashimoto allo stadio iniziale, è importante tenere sotto controllo la progressione della patologia agendo sui fattori ambientali di rischio e sullo stato nutrizionale del soggetto. Mediante lo stesso criterio, è possibile intervenire su un processo degenerativo già in atto, attenuando l’insulto infiammatorio e conservando la frazione tiroidea ancora illesa. In definitiva, sebbene non si possa guarire dalla tiroidite di Hashimoto, è possibile convivere con essa rallentandone il decorso.

Altri approfondimenti sull’Ipotiroidismo:

Dott.ssa Gabriella Reggina

La Dott.ssa Gabriella Reggina è laureata in biologia presso l’Università Federico II di Napoli e ha proseguito gli studi post-laurea in materia di nutrizione e igiene degli alimenti. È iscritta all’Ordine Nazionale dei Biologi.

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